Fin da piccola aveva una strana paura delle maschere.

A carnevale le persone mascherate in viso le facevano impressione, le davano insicurezza e piano piano cominciò a cercare di esorcizzare la paura, fissandole. Cercava di sostenere lo sguardo, immaginava chi c’era dietro, cosa pensasse, cosa volesse.

Aveva sviluppato con gli anni una passione travolgente per il carnevale di Venezia. Non un carnevale qualsiasi, un carnevale misterioso, allegro e trasgressivo, dove, nascosti dietro delle maschere la gente non aveva più differenze, le classi sociali per un momento non esistevano più, e neppure le differenze sessuali.

Sognava già da adolescente di essere scelta tra le belle ragazze del popolo per la festa delle Marie, che anticamente celebrava le coppie che stavano per sposarsi. Venivano scelte le 12 fanciulle più belle tra le classi povere e assegnate a delle famiglie ricche che avrebbero provveduto a vestiti e gioielli.

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E naturalmente sognava di partecipare al ballo del Doge, tra vestiti sfarzosi e candelabri, tra uomini in maschera che la avrebbero invitata a ballare e canti e musica.

Aveva organizzato tutto, anche le bugie da raccontare al suo ragazzo per poter andare sola. Aveva risparmiato su tutto, tranne che sul vestito. Aveva contattato vari atelier specializzati di Venezia e un mese prima del carnevale era andata direttamente a provare il vestito che aveva scelto.

Aveva scelto di presentarsi nei panni di una dama in bianco e nero dalla scollatura pronunciata e dall’ampia gonna resa ancora più pomposa dalle mille sottogonne. E un corpetto stretto al punto da assottigliare la vita e mettere in risalto il seno. Sopra una mantellina per evitare il freddo dell’inverno veneziano.

Come intimo aveva scelto un bustino, stretto sul retro, e delle culottes in stile francese di seta con finiture in pizzo.

E ciliegina sulla torta una mascherina nera in pizzo.

Aveva voglia di confondersi tra la gente e tra le maschere, aveva scelto di essere protagonista di una storia fuori dal tempo. Aveva organizzato tutto per bene e lasciato al destino tutti i dettagli imprevedibili.

Dalla stazione Santa Lucia lo stacco con la Venezia dei sogni è brusco, è come quando all’improvviso vedi un dirupo, ti spaventi, ti fermi un attimo a guardarlo, la tua mente terrorizzata piano piano si tranquillizza. L’unica differenza in questo caso fu che non vedeva l’ora di buttarsi nel dirupo, sapendo che sarebbe stato un dolce lasciarsi andare.

L’atmosfera da carnevale aumentava di livello col passare delle ore, solo alcuni turisti la spezzavano.

Si ricordava quando anni prima con un suo ex fidanzato si era abbandonata per le stradine dietro piazza San Marco, perdendosi completamente e ritrovandosi per caso all’ingresso dell’università Ca’ Foscari, passando per mille palazzi e dimore antiche.

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Andò subito all’atelier per ritirare il suo vestito e cambiarsi. Il primo evento era il sognato corteo della festa delle Marie che cominciava dopo pranzo da San Piero di Castello. Da lì si immerse completamente nel carnevale, perdendosi tra la folla, sola, alla ricerca di emozioni, di sguardi tutti uguali di maschere che nascondevano le differenze.

Guardava lo spettacolo, ma guardava anche la gente, aveva l’impressione che più passavano le ore più l’atmosfera diventa irreale e lei cercava proprio questa realtà alternativa, senza turisti, senza gente vestita come nel mondo reale. All’imbrunire questa sensazione si fece certezza e si abbandonò nell stradine strette e poco conosciute dietro piazza San Marco, senza una meta precisa, passando per piccoli ponti e guardando l’interno delle dimore aperte, per trovare squarci di vita quotidiana.

L’unica sensazione sgradevole era che sembrava trasparente, veniva ignorata dai più, pochi sguardi, ognuno sembrava pensasse a sé senza prestare attenzione agli altri. Lei nel fondo aveva voglia di essere guardata, di essere protagonista in mezzo a tante gente.

Incrociò lo sguardo di una maschera bianca, che non lasciava trasparire nessuna sensazione, si spaventò, pensò alle sue paure. Era come vedere un fantasma, senza espressione, che la guardava per qualche secondo e poi spariva. Si accorse che era sola in quella stradina e prese a camminare più velocemente per incontrare qualcuno e tranquillizzarsi. Una volta ritrovata la compagnia anonima di altre persone, si Affacciò su un piccolo ponte sul canale, a guardare il panorama. Fu esattamente lì che sentì la presenza di una persona, una maschera, di un uomo, che lasciava intravedere degli occhi azzurri. Si avvicinò, rimase vicino a lei senza dire niente, la fissò e quando gli sguardi si incrociarono, si avvicinò alla sua bocca e le rubò un bacio sulle labbra.

Queste erano le sensazioni che cercava, rimase in silenzio per qualche secondo e poi accettò un bacio più lungo, sentendo le morbide labbra di lui sulla sua bocca e poi la lingua di quel estraneo.

Furono pochi secondi, non ebbe il tempo di reagire, assaporava quel bacio assurdo, sentiva il sapore di quella maschera, con un filo di voce disse “Chi sei?”, la domanda meno indicata in quella situazione.

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La maschera le fece segno col dito di fare silenzio e le sussurrò all’orecchio “le maschere non parlano” e andò via di fretta.

Lo seguì con lo sguardo, non capiva più nulla, voleva andargli dietro e chiedergli un’altro bacio, ma lo perse dopo pochi secondi.

In preda a una strana ansia cercò di seguirlo, ma era scomparso del tutto. Il suo sapore sulle labbra lo sentiva ancora e sentiva rimbombare quella frase appena sentita. Piano piano tornò alla realtà, riascoltò nella sua mente quella voce, ripensò alla sua bocca e alle sue mani, e ormai aveva capito: era una donna.

Le maschere che rendono tutti uguali e che non parlano, nascondono uomini e donne, belli e brutti, nobili e plebei. E nascondono baci nuovi, mai provati prima, morbidi, vellutati.

Quella sensazione le rimase per tutta quella sera e tra la gente continuava a cercarla, impresa impossibile in mezzo a migliaia di maschere tutte uguali.

Proseguì la serata cercando di seguire eventi e rifugiandosi dove c’era poca calca ogni tanto. La sera avrebbe voluto partecipare a qualche festa danzante, non certo alle più esclusive, che non si poteva permettere, ma aveva una lista di luoghi in cui c’erano feste private, voleva per lo meno vederle da fuori, vedere come arrivava la gente.

Era ormai buio su Venezia, il freddo e l’umido pungente si facevano sentire, ma resisteva grazie alla sua mantellina e alla sua curiosità.

Si trovò di fronte a un palazzo che sembrava chiuso, non sembrava ci fosse nessuna festa, camminò a lungo, per trovare quel che cercava ma sembrava tutto spento, nessuna luce faceva intravedere feste o eventi mondani. Poi in lontananza scorse un portone, in cui c’era gente che entrava mascherata, si avvicinò rapidamente, sembrava proprio una festa danzante.

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Si fermò a osservare il tutto da una certa distanza, vide una fila di uomini che aspettava, poi vide entrare una donna che prese per mano il primo della fila ed entrò. Poi la stessa scena la rivide altre volte. Prese coraggio, capì come funzionava, non sapeva però se c’era bisogno di un invito. Si avvicinò timorosa, vide tutti gli sguardi su di lei, si avvicinò al primo della fila che le porse la mano e qualche secondo dopo erano dentro a quel palazzo illuminato, pieno di maschere e costumi e lei era in mezzo. In mezzo al suo sogno.

All’ingresso lesse una scritta

« Qui la moglie e là il marito

Ognuno va dove gli par

Ognun corre a qualche invito,

chi a giocar chi a ballar »

(Carlo Goldoni)

Il suo partner occasionale infatti prese un’altra direzione e lei proseguì sola.

Le feste che animano la città nelle ore più scure hanno un unico tema, la trasgressione, le maschere rendono libera la gente di fare quel che vuole e di lasciarsi andare, tanto “nessuno saprà mai … chi sono!”.

E cosi lei si sentiva, libera, la sua bella mascherina in pizzo la rendeva libera.

Di accettare il ballo di cavalieri sconosciuti, di accettarne gli sguardi e di accettarne i baci.

I candelabri dorati erano ovunque e scaldavano quella notte fresca.

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Non sapeva neppure dove si trovava in quel momento, ma era la notte che aveva sognato da tempo e si abbandonò a quella trasgressiva eleganza come in un comodo cuscino di velluto.

Accettò tutti i baci, ma nessuno era come quello della donna misteriosa di qualche ora prima, quello rimase un cammeo prezioso che non avrebbe dimenticato mai.

Nessun dettaglio della sua vita vera trapelava, il suo lavoro, il suo fidanzato, la sua vita quotidiana, niente.

Ballava, sorrideva, accettava le avance cercando di distinguere dallo sguardo le sensazioni dell’altro.

Arrivò ad accettare i baci di due uomini assieme. Nessuno guardava, nessuno giudicava e quelle bocche sconosciute ora erano sue.

Sentiva le loro mani sul suo vestito, sui fianchi, sentiva ogni tanto i loro corpi addosso a lei.

La presero per mano, senza dire niente, salirono delle belle scale in marmo, aprirono una porta di una stanza poco illuminata in cui altre persone amoreggiavano e si lasciavano andare più di quanto fosse possibile di fronte a tutti.

Una maschera di donna, appoggiata al muro aveva le gambe aperte e un uomo dentro di lei. La guardò per un attimo riuscendo a incrociare il suo sguardo gaudente che sembrava sorriderle. Si sedette assieme ai due amanti in un ampio divano in velluto e ricominciarono a baciarsi, in modo sempre più voluttuoso.

Ora le mani erano ovunque, il vestito era la sola barriera rimasta. Si sentì allentare pazientemente il bustino, rimase a seno nudo, mentre le bocche dei due uomini cominciarono a baciarle i capezzoli. Anche la gonna stretta da un laccio, una volta allentato, volò via.

Si trovò con le sole culottes addosso sdraiata in quel divano, abbandonata totalmente al piacere di quei due sconosciuti.

Le mani e le bocche la accarezzavano tutta, sul collo, sul seno e poi sui fianchi e sulle gambe. Uno dei due cominciò ad abbassarle le mutandine e sollevandole una gamba cominciò con la mano ad accarezzarla in mezzo alle gambe.

L’altro toltosi i pantaloni gli offrì il suo pene, che lei, inumidendosi le labbra, prima prese con una mano e poi assaggiò con la sua bocca.

La passione aumentava piano piano, ma all’inizio le carezze intime erano leggere e pausate, non c’era niente di ossessivo e di volgare in quella posizione. Nonostante le avesse le gambe aperte e la fica ormai bagnata, si trovava perfettamente comoda, era la naturale conclusione di quella serata. Si gustò il pene del primo uomo e poi anche del secondo. Sentì il sapore a lungo nella sua bocca, mai si era soffermata in quel modo, mai si era gustata con tanta passione il membro di un uomo. E mai aveva sentito quelle attenzioni ripetute e lente sulla sua fica.

Con la vista annebbiata scorgeva altre figure nella stanza e udiva gemere altre donne, finché anche lei comincio a gemere quando si sentì penetrata. Ora i movimenti erano più rapidi, abbandonava la sua bocca sul pene dell’altro, mentre godeva per i colpi che sentiva dentro di sé. La tranquillità si stava rapidamente trasformando in frenesia, si godeva quei momenti unici, sentiva il bisogno di avere quei due cazzi tutti per lei. Sdraiata su un fianco, oscenamente riversa su un pene e altrettanto oscenamente scopata.

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Li sentiva sussurrarle mezze frasi che non capiva, continuava a ripetere solamente la parola “sì”.

Era totalmente a disposizione di quei due, non aveva la forza né la volontà per reagire, voleva godersi fino alla fine quel momento.

Anche quando il ritmo della scopata aumentò vertiginosamente e si trovò aggrappata alla spalliera del divano, montata a turno dai due uomini.

Ora sì anche lei urlava, come altre donne in quella stanza. Ebbe un primo fortissimo orgasmo che lungi dal frenare i suoi amanti, li incitarono a proseguire. Si vedeva dall’alto penetrata e posseduta selvaggiamente da quei due uomini. La cavalcavano da dietro, la tenevano per i capelli e con le mani le davano forti sculacciate che la facevano tremare tutta.

CI fu un momento di calma apparente, durante il quale sentì l’abbraccio su di lei e il suo seno baciato dolcemente, giusto il temo per respirare e tranquillizzarsi per poi capire che stava per essere posseduta da entrambi contemporaneamente.

Sgranò gli occhi, ma non poteva farci niente, era in balia di quei due uomini e non aveva nessuna intenzione di dire di no.

Sentì le dita sul suo ano che la preparavano, poi senti un dolore forte, che piano piano si trasformò in piacere incontrollabile.

Lei non poteva muoversi, erano loro che si muovevano dentro di lei, oscenamente scopata in un divano di velluto, in una festa privata nel cuore della città di Venezia, illuminata a festa.

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